Tutti cercano la dieta efficace, tutti provano le diete nuove, ma gli insuccessi sono ancora numerosi, soprattutto a lungo termine. Perché questo?
Qualcosa non funziona.
Ovviamente queste considerazioni non sono valide per quelle persone che hanno poco da perdere in peso, o lo perdono facilmente, e senza recidive. Una percentuale
della popolazione che si aggira intorno al 20%, geneticamente non ha problemi di accumulo di adipe.
Ha un dimagrimento facile e stabile e l’adiposità non si associa a patologie (anomalie ormonali, ipertensione arteriosa, ipecolesterolemia, acido urico elevato, iperglicemia, ecc) . A queste persone basta ridurre le calorie da assumere, calcolabile anche nel “fai da te”.
Il problema esiste per chi ha un metabolismo lento, un sovrappeso difficile a rimuovere, recidivante, o arresti inspiegabili nel dimagrimento, ancor prima di raggiungere il peso forma programmato. Ciò avviene nella obesità cronica e in quelle persone che, all’adiposità, associano malattie o disturbi metabolici.
Nella mia carriera ospedaliera, dal 1970, e poi nell’attività privata che svolgo tuttora, mi sono interessato di alimentazione sotto diversi aspetti. Sotto l’aspetto ormonale, metabolico, allergico, delle intolleranze, ecc.. Ho potuto notare che quel che accadeva una volta accade anche oggi, se non si procede con professionalità e impegno da parte del medico e del paziente i risultati sono temporanei e spesso deludenti. Perché?
Con le conoscenze e di oggi, questi fallimenti si giustificano sempre meno.
Si è parlato per anni di “calorie”, ma questo concetto non soddisfa più le esigenze della dietoterapia. Si deve ammettere che effettivamente il criterio biochimico alla base della “dieta molecolare” è più adatto per formulare programmi dietetici più efficienti.
Calma, non è una nuova dieta o un best seller da consultare. E’ presto detto, è una nuova concezione sul valore nutritivo degli alimenti. La dieta molecolare tiene conto soprattutto della composizione chimica degli alimenti, del loro indice glicemico e del relativo carico glicemico; non si basa sul calcolo delle calorie.
Le diverse diete “lipolitica”, “chetogenica”, “proteica”, ecc., sono tutte applicazioni pratiche di questi nuovi criteri, con qualche variante. Prendono in considerazione l’indice glicemico degli alimenti , cioè la loro capacità di trasformarsi in glucosio nel sangue. Possono anche prevedere la esclusione totale dei lipidi e dei carboidrati, ma resta ferma la quota proteica.
I risultati sono eccezionali, ma per renderli sicuri e stabili bisogna conoscere altre cose:
- Avere una esatta valutazione delle alterazioni metaboliche ed ormonali possibili nel soggetto,
- Conoscere bene la dinamica del metabolismo degli alimenti
- Avere una esatta conoscenza delle condizioni di salute del paziente.
Quali sono le mine vaganti?
- La presenza di una Sindrome Metabolica latente con insulinoresistenza;
- La presenza nella dieta di alimenti ad alto indice glicemico o di “integratori glucogenetici”,
- Disturbi funzionali ormonali non ben evidenziati dai dati di laboratorio.
Queste conoscenze ci hanno permesso i progressi nella dietologia, ma la constatazione è che la dietoterapia si impone sempre di più come atto medico.
- La “sindrome metabolica addominale”. Identificata già alla fine del secolo scorso come un insieme di anomalie metaboliche ed ormonali che affliggono contemporaneamente lo stesso individuo. Non vi è una malattia specifica. Studiata meglio nell’ultimo decennio, ha permesso di chiarire gli aspetti biochimici dell’incremento ponderale e l’influenza sinergica negativa di queste anomalie, anche se latenti. Nel soggetto adulto l’adiposità si può accompagnare ad un serie di disturbi.
Si rileva spesso un aumento della glicemia, del colesterolo, della uricemia (anche in assenza di gotta conclamata), un rialzo pressorio arterioso. Nelle donne si accentuano i disturbi mestruali, aumenta l’insulinemia, compare la “resistenza insulinica” (con o senza diabete), si accumula il grasso addominale, ecc.. Spesso nei giovani obesi si rileva soltanto un picco anomalo dell’insulina dopo il pasto, non necessariamente legato a determinate scelte alimentari. - Sugli alimenti ricordiamo che, nella composizione proteica, va valutata sia la presenza di aminoacidi glicogenici (cioè in grado di fornire zuccheri dal loro metabolismo), che l’indice glicemico e carico glicemico degli alimenti. Cioè di un alimento deve essere nota la sua capacità di elevare la glicemia dopo il pasto. Va calcolata la presenza di acidi grassi insaturi, per il loro forte potere antiossidante ed antinfiammatorio e la capacità chetogenica dei lipidi, favorevole entro certi limiti. La presenza di fibre solubili ci garantisce un ridotto e lento assorbimento dei carboidrati, abbassando l’indice glicemico degli alimenti e, di conseguenza, anche il picco glicemico ed insulinemico post prandiale.
Vanno considerate anche le modifiche indotte dalla conservazione, cotture, elaborazione e miscelazione degli alimenti. L’argomento è molto interessante, soprattutto per gli aspetti pratici ed organolettici: lo tratteremo da solo in altra occasione. - Sui pazienti vanno ricercate quelle situazioni che possono creare ostacolo alla efficienza della dieta e sono prettamente personali. Vi è una genetica che non possiamo ignorare e riguarda l’obesità, il diabete la resistenza insulinica ed altre alterazioni ormonali. Va ricercata la presenza di stress ossidativo e, perciò va indagato se il paziente è sottoposto a terapie prolungate per la pressione arteriosa, per patologie tiroidee, per il diabete, per l’ ipercolesterolemia,. Anche le terapie antinfiammatorie e corticosteroidee prolungate nel tempo aggravano lo stress ossidativo. La stessa obesità induce uno stress ossidativo.
Tutto ciò si concretizza in un programma di dietoterapia integrata che comprende:
- scelte alimentari appropriate
- integrazioni alimentare con antiossidanti , amminoacidi e vitamine ad alte dosi
- eventuali terapie tradizionali
- igiene di vita da rispettare
- “rieducazione alimentare”
La rieducazione alimentare comprende anche l’azione correttiva della dieta prescelta per portare a norma l’insulina. Equilibrio molto importante, indipendente dalla volontà del soggetto, che ha bisogno di continuo monitoraggio. Se queste anomalie tendono a riaffermarsi, si hanno le ricadute, perché si ripristina il senso di “fame nervosa” e quindi la ripresa alimentare. Nella prima fase, tutte le diete sono efficaci, ma eventuali anomalie metaboliche ed ormonali presenti riprendono il sopravvento successivamente, se non bloccate, e si riassume adiposità. Se il programma dietetico ignora queste situazioni è condannato al fallimento.
La presenza di queste patologie talvolta è tradita da livelli borderline di alcuni parametri di laboratorio, apparentemente trascurabili.
Bisogna approfondire con esami specifici che riguardano:
- l’insulinoresistenza o iperinsulinismo
- lo stress ossidativo con la ricerca del potere riducente residuo o del potere ossidante plasmatico
- i processi infiammatori cronici (disbiosi intestinali, Helicobacter Pylory e candidiasi ricorrenti, allergie alimentari, esposizione ad agenti tossici, malattie autoimmunitarie, patologie croniche polmonari,)
- l’aumento del cortisolo al mattino ed altre disormonosi (tiroide, surrene, ipofisi, ovaie, ecc.)
In conclusione, applicando l’esperienza delle “diete lipolitiche”, le conoscenze sulla “dieta molecolare”, il controllo della “sindrome metabolica addominale”, ed evitando i tranelli di un complesso squilibrio metabolico ed ormonale, si ottengono ottimi risultati. Ma elemento imprescindibile è la partecipazione responsabile del soggetto nel modificare lo stile di vita e di attenersi ad un programma di attività fisica costante.
Egli deve essere conscio di affrontare un valido programma altamente personalizzato di Medicina Preventiva Rigeneratva e Anti Aging. I risultativi saranno e buoni.
A cura del prof. Giulio Iasonna